Michael Gardenia

… una Milano, che non riconosco. Una zona dove mi si sono ritrovato seguendo un profumo, un buon profumo. Stranamente, come ormai da giorni piove, piove tanto e quando sembra non piovere… piove. Quando ho iniziato a capire che non esiste un gusto, ma gusti, ho iniziato a capire che io preferisco il gusto.

Entro in un cancello, fuori una ragazza, penso aspetti un taxi, intravedo la voce di un ragazzo, chiara, pacata, silenziosa. Salgo le scale di questo palazzo, tante porte, chissà che peso portar su e giù le mie cose. La giornata continua tra i miei sguardi fissi, la ricerca di polvere e lo sbaglio di essermi fissato. Nulla. Tutto perfetto. Un palazzo, le scale, io. 

Quando incontrai Michael, questo palazzo lo viveva, ma era dietro alla sua porta che si apriva un luogo/non luogo, il suo. Un casa, senza essere una casa, una cucina che guardava. Ci sono voluti tanti passaggi, poche parole, qualche sguardo, più i miei, per capire che lui in quel mondo viveva con la voglia di fare, fare, fare. Appoggiati al tavolo di lavoro davanti alla cucina che guardava un giorno mi offri un caffè. Lui sa di caffè, un caffè buono, parla di caffè buoni…

Ci sono passaggi, tempi, momenti che inevitabilmente fanno parte di te?

L’immagine del cibo combinata alla storia che porta dentro. Una fotografia con un contenuto, magari di un viaggio. Quello che succede attorno a un tavolo: cosa c’è sopra, il tempo trascorso con delle persone e le parole che si condividono.

Ripeto questo caffè è, “non ho bisogno di acqua dopo”. Un caffè offerto e sapere come mi sento al primo sorso…

Cosa ti aspetti che ti dica? 

Guardo sempre l’espressione delle persone appena assaggiano un mio piatto o un mio caffè. La reazione non mente… non mi aspetto mai nulla di scontato ma piuttosto cerco di dare qualcosa di inaspettato e che incuriosisca, qualcosa che abbia bisogno di essere raccontato. Lo stesso succede nelle mie fotografie, dove cerco sempre di inserire una storia.

L’attenzione è distrazione. In questo dolce, in questo piatto. 

Cosa non deve mai avere e avere un cibo per essere tuo.

Deve sempre avere senso. Deve contenere gli ingredienti adatti sti in base alla situazione e alla stagionalità, il piatto del tipo e della finitura che lo valorizzino, un significato perché se ne possa parlare mentre si mangia.

Domani sera ti invito sopra da me, ho ancora un po’ di cose negli scatoloni… però…

Voglio cucinare un piatto con i tuoi ingredienti preferiti. Quali sono?

Pasta buona, passata di pomodoro buona… tutte le aggiunte sono arte!

Guardo fuori dalle finestre, vedo un cantiere…

Se ti metti al mio posto cosa vedi?

Desolazione. Ieri vedevo una ex fabbrica che ti trasportava fuori Milano, in un quartiere ricco di storia e con spazi con nuovi utilizzi creativi. Una comunità. Ora vedo una luce diversa, dei riflessi difficili, uno sfondo in divenire… non so cosa. Domani vedo un palazzo alto e con un colore scomodo.

Vedo, lo spio, lui parla e io guardo mentre allestisce perfettamente il suo tavolo per delle foto…

L’imperfezione perfetta che c’è in te?
Avere dei limiti. Essere sempre diverso. Vivere, unici, ogni giorno.

… mi vibra il cellullare, è Carlo… Michael mi guarda, poi guarda la mia tazza di caffè come se mi dicesse “goditelo fino alla fine”, richiamerà…

Michael lo trovi qui

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